Nella classifica Fifa l’Italia occupa il 16° posto, la Finlandia il 57° e l’Armenia, liquidata giovedì scorso, addirittura il 98°. Non è, dunque, il caso di scendere in piazza. Ma sei vittorie su sei non sono molto, sono il massimo, e un Europeo già nel mirino il 12 ottobre, contro la fu-Grecia a Roma, non costituirà un’impresa, vista la concorrenza, ma racconta di un approccio e di una rotta senza particolari turbolenze.
Prendere le partite e attaccarle al muro come se fossero paltò: Mancini crede nei giovani e i giovani credono in Mancini. E così a Tampere abbiamo sofferto meno, molto meno, che a Yerevan nonostante l’uomo in più (a proposito: Bonucci, occhio a certe cadute di stile; Bonucci, il capitano). Possesso palla, pressing, occasioni: in barba ai cinque cambi e al k.o. di Emerson. Certo, nessuno è perfetto e non lo sono nemmeno gli azzurri. Alludo al rigore che Sensi ha offerto a Pukki, agli errori di passaggio che, talvolta, si trasformano in rampe per i rivali, ma Donnarumma senza voto e Hradecky migliore dei finnici sono sentenze.
Non entro nel merito del mani-comio del penalty trasformato da Jorginho: sul tema ho scritto pile di cartelle, a ognuno il suo. Resta un fatto, inoppugnabile: come il 3-1 a Mikhitaryan e c. fu obeso, così il 2-1 di Tampere è stato fin troppo scheletrico. Mi sono piaciute le geometrie mobili di Sensi, calato alla distanza: sostituiva Verratti, squalificato, non proprio uno qualunque. Ho colto progressi in Barella e persino in Chiesa. Immobile non segnava da due anni, evviva. La staffetta con Belotti ha portato quella benzina capace di ripristinare le differenze: nei valori e nel risultato.
Non siamo giganti, non siamo nani. In attesa di bilance più toste, accontentiamoci. Il leader, per adesso, è Mancini. E perché ne nasca uno anche in campo, dipende più dalle mamme che da lui.